googleaolamazon.comyahoo.combaidugoogleaolamazon.comyahoo.combaidu Black is Black - Gianni Pitta

 Black is Black

 di Mario Corfiati
La sequela di opere con cui Gianni Pitta struttura questa sua nuova esposizione traccia una netta linea di separazione con tutta la sua precedente carriera di artista. Improvvisamente, come in un repentino cambiamento di rotta, l’Autore espone una serie di immagini, oggetti e tele , interamente nere. Tale inversione di marcia è tanto più sconcertante, in quanto Gianni è stato sempre un fautore del colore, un vero appassionato delle variegate possibilità operative offerte da una ‘tavolozza’ ricca, suadente e divertita, ma comunque sempre fondata sull’omaggio ad un cromatismo vivace e a volte anche esasperato. Dai “Cuori”, a “Glicemia”, fino a “Mediamente Fragile”, abbiamo sempre visto un vivace incontro di emozioni e di esplosioni coloristiche, condite anche da un gradiente di elementi un po’ ‘magici’ emersi da un background di spontaneo primitivismo. Forse proprio quel percorso che si dipanava fra l’espressione ed il colore, fra la leggerezza del sentimento ed il suo compiacimento estetico, ha portato Gianni Pitta a riflettere sulle cose dell’arte e del mondo e, in ogni caso, non potendo rinunciare all’azione, tutta la sua creatività si è audacemente riversata in una inventiva che testimonia, in questo caso, il sentire la necessità del nero come fattore inerente all’atto artistico che intende rinnovarsi. Una specie di sfida verso la propria indole e verso l’idea stessa di visione legata al senso comune ed anche alle comuni aspettative. Proprio per questo, l’attuale ‘Black Experience’ tende a coniugare il tema della monocromia con quello della conoscenza in itinere, laddove l’emozione ed il desiderio del nuovo tentano territori sconosciuti. L’Autore si è avviato lungo una strada che lo porta a confrontarsi con se stesso, con le sue proprie possibilità tecniche, fatto, peraltro, a mio avviso, pienamente riuscito. Infatti, qui vediamo concretamente un’operazione di per sé delicata in cui Gianni Pitta dimostra una eccellente perizia proprio laddove il suo laboratorio continua ad essere ricco di esiti diversi, nel senso che vi nascono opere bidimensionali ed oggetti.
Finora il nero, nella sua manifesta corposità, abbiamo potuto soprattutto vederlo in alcune memorabili realizzazioni della Optical Art, nelle Pitture Nere di Goya, nel Minimalismo storico e in parte del grafismo estremo introdotto nel secondo dopoguerra. L’intera collezione qui in mostra enuncia un deciso desiderio di ritorno alla semplicità estetica e, a mio avviso, anche un commento sottile sulla pletora di immagini che invadono il nostro quotidiano e da cui è salutare evadere per restituire verità alla dimensione artistica che, seppure intellettualmente addolcita da una ragionevole tolleranza verso l’assenza di senso, chiede spesso di tornare ad avere una funzione di dialogo e di comunicazione. In un sistema ormai interamente basato sulla esternazione dell’informazione, privo di ogni attenzione verso la natura simbolica del segno, l’ evidenza si frammenta continuamente in una sequenza irrefrenabile di immagini mediatiche attraverso cui è pressoché impossibile rintracciare una trama formale che favorisca un percorso di comprensione delle immagini stesse, nella loro ormai assente sostanza naturale. Il sogno dell’uomo occidentale di dominare la natura e di controllarla, ha investito il senso stesso della comunicazione ed ha comportato anche la diffusione di una cultura quotidiana, succube dell’advertisement, che ambisce alla massima ovvietà per favorire messaggi socialmente condivisi ed inequivoci. Naturalmente, la realtà pulsante è ben più complessa e l’arte contemporanea si è sempre posta come fattore dialettico nella riflessione sulla natura dell’immagine, evitando molto spesso di farsi assimilare alla semplificazione delle certezze.
Così Gianni Pitta si sottrae alla consuetudine un po’ ottimistica del colore, alla sua stessa attitudine artistica professata fino a non molto tempo fa, si propone un rinnovamento, forse un maggese dell’anima e dell’ispirazione, e chiede spazio a se stesso, alla sua necessità di riflessione e si avventura a ritrovare il senso della visione in un mare di tinta nera, di smalti e vernici scuri e tetri, teatralmente sparsi su orditure talvolta a malapena percettibili che si snodano di superficie in superficie obbligando lo sguardo a decifrarne la struttura ed la forma.
Non si può non pensare al nero come all’assorbimento di tutti i colori, totale somma di cromie senza riflesso. Il nero è il buio, l’origine, il prima di tutte le cose. E’ la notte. La magia pericolosa, la paura dei fanciulli, il cielo profondo dell’universo. Il nero è l’oblio, ma anche la calda culla della terra che accoglie il seme. Il nero è la destinazione del salto, coraggioso o folle, che rischia il vuoto. E’ l’eleganza, la silhouette delle ombre cinesi, l’estremo infrarosso dello spettro, l’Heavy Metal, il sonno senza sogni, la speranza della luce… Tutte le opere elaborate per questa mostra espongono l’interrogativo della forma che tenta di emergere dall’affermazione perentoria ed un po’ misteriosa del colore nero: come alcuni funerei simboli floreali, gambi di sterpi accostati l’uno all’altro, radici filiformi ramificate invischiate nella pece e negli smalti, residui di vita alla ricerca di un nuovo palpito, costellazioni minerali di ghiaia incollata saldamente ai supporti… E, su tutto, l’ironia di un’azione che gioca con se stessa, con il mito della creazione e con il sommesso sorriso di qualche macchia di colore, posta qua e là a ricordare il passato e, forse a preannunciare un imprevedibile futuro.

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