googleaolamazon.comyahoo.combaidugoogleaolamazon.comyahoo.combaidu Segni d'arte - Gianni Pitta

Segni d’arte

di Mario Corfiati

Docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Accademia di BB AA di Foggia

L’attitudine ampiamente sviluppata da Gianni Pitta nell’ambito di una pittura che si rinnova e si genera intorno ai valori del gesto e dell’immediatezza, mostra qui l’irrefrenabile intensità di un’azione che non intende esaurirsi o fermarsi nella sia pur ricca enfasi della bidimensionalità. Ciò in fondo è sin troppo ovvio, poiché la ricca congerie di energie che l’autore sprigiona, da qualche tempo mostra l’impulso di travalicare il limite della tela, della superficie che, pur affascinando, descrive in se stessa lo spazio dell’immaginazione e dell’illusione. In fondo, Gianni Pitta ha sempre ampliato l’esperienza della creatività e della ricerca di soluzioni confacenti al suo lavoro d’artista, ad una serie di operazioni “collaterali” all’ortodossia pratica della pittura con interventi differenti: oggetti, gadget, piccole sculture, tutto calibrato intorno ai mezzi espressivi del segno, ma con l’evidente invito ad un affioramento della tridimensionalità in senso, direi, puro e primitivo.
La scultura possiede in se il germe del totemismo, della magia, della emblematica volontà creatrice, poiché si espone al mondo e nel mondo contraddicendolo, cioè apportando nell’ambiente il senso dell’umano che si confronta con la natura. Tanto vado considerando, poiché, nell’attuale esposizione, è evidente che l’accento sulla tridimensionalità è certamente prioritario ed affascinante. D’altronde, l’autore qui, come d’abitudine, non rinuncia mai al segno, al colore, all’espressione, ma si fa possedere dall’impeto inscrittivo ed attraversa il territorio della pittura giungendo a testimoniare l’identità del suo gesto anche nelle forme dell’oggetto. Le sue invenzioni nascono ironicamente da blocchi di polistirolo destinati al macero e recuperati ancora una volta come stimolo operativo. Essi vengono scavati con sostanze corrosive, in un processo controllato di erosione, così da manipolare lo scabro materiale ai fini della modellazione: di qui, poi, parte il processo della costruzione, della significazione. Nasce il gioco della apparentemente divertita giustapposizione di pittura e di trash, di emozione e di casualità, di amore e di dissacrazione.
In più di un’occasione abbiamo sottolineato come la pittura di Gianni Pitta si materializzi sotto la ispirata gestualità di natura emotiva che contraddistingue coerentemente tutto il suo percorso artistico, rielaborando la storia dell’espressionismo astratto e alcuni più recenti eventi di tale corrente risalenti agli anni Ottanta e Novanta. In più oggi assistiamo qui ad una esposizione di ‘totem’ artificiali, di supporti casuali che divengono ancora pretesto per una prosecuzione di tale irreversibile passione. A questo proposito, guardiamo pure tali manufatti come giocosa esperienza di pittura primitiva, ma dobbiamo soffermarci anche su un’altra serie di significati che ci vengono non arbitrariamente suggeriti. Gianni Pitta incide scava e dipinge questi blocchi di polistirolo e, appunto, la loro presenza si offre proprio con un lato ancestrale e tribale che è il risultato di un sottrazione estetica, di un lavoro di riduzione alla semplicità. Ma vi è anche un altro aspetto che ci colpisce profondamente: il fatto, cioè, che la figura del totem emani una venerabilità antica emergente dalle lontane zone delle usanze esotiche. In esso è vivo il tema della inviolabilità del sacro, del suo valore sociale e comunitario. E, d’altronde, è stata proprio l’arte europea del primo Novecento a immettere nell’azione creativa l’ingrediente della dissacrazione e dell’ironia estrema, intimamente connesse allo smantellamento della tradizione artistica occidentale. Cosicché nelle elaborazioni di Pitta vi è quella benefica contraddizione che vede l’opposizione di sacro e profano come un’alchimia creativa che sembra divertirci ma che nasconde anche l’oscura ed implicita riflessione su una storia umana che non vive di artificiosa e discutibile evoluzione, ma che richiede continuamente di sacralizzare il mondo, seppure attraverso le imprevedibili vie dell’arte. Rispetto alla generosa effusione di materia pittorica, la materia tridimensionale qui si inalbera in feticci adorni di indizi arcaici, tutti rielaborati tramite l’uso di aggeggi, scarti, attrezzi e così via. I colori e le espressioni si mescolano in una galleria di steli polimeriche leggere ed intriganti che favoleggiano del perduto mondo antico, quello che vedeva fondersi usanze e religiosità, società ed arte, individuale e collettivo in un’unica realtà in cui il sogno ed il mondo si scambiavano i segni di una reciproca alleanza.

 

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