Glicemia di colori primari, vivaci e violenti…
di Chiara Canali
Uno dei nuclei di maggior rottura tra le avanguardie del Novecento, considerato al tempo troppo rivoluzionario e trasgressivo, è senza dubbio il Gruppo CoBrA. La sigla deriva dall’acronimo delle prime lettere delle capitali delle nazioni di provenienza dei principali artisti: Copenaghen, Bruxelles e Amsterdam. I principali protagonisti del gruppo sono infatti danesi, belgi e olandesi, tra i quali capeggiano le figure di Asger Jorn, Karel Appel, Costant, Corneille e Pierre Alechinsky.
Cardine della loro poetica, come tentativo di creare una mediazione tra Astrattismo ed Espressionismo, è l’aspirazione ad una espressione spontanea, esplosiva, naturale, che rifiuta ogni restrizione o convenzione a favore di un’arte basata sulla propria libertà creativa ed emotiva. L’enfasi è posta sul mito e sull’immaginario ingenuo dell’infanzia e della pazzia, i soggetti tematici privilegiano le creature fantastiche e mitologiche che trasudano intense emozioni, come rabbia, gioia e ironia. Le forme astratte, geometriche o tache delle correnti precedenti lasciano il posto ad un’arte d’istinto, all’azione esplosiva del gesto e del colore per mezzo di una pittura irruenta ed viscerale, attraverso cui l’artista può realizzare pienamente la propria personalità. Secondo l’affermazione di uno dei suoi principali autori, Karel Appel: “Un quadro non è più una costruzione di colori e di linee, ma un animale, una notte, un grido, un essere umano, uno ed indivisibile”.
Questa descrizione sembra calzare alla perfezione con l’estetica di Gianni Pitta, autore pugliese che ha aderito al gruppo sinestetico internazionale. Il contesto storico è mutato, non siamo più nel dopoguerra quando la visione dell’artista si oppone alla disumanizzazione della seconda guerra mondiale e alla profonda indegnità dell’oppressione e al tempo stesso rifiuta ogni atteggiamento intellettualistico, dogmatico e teorico. Siamo ora nel post- post- modernismo, quando qualsiasi sperimentazione e formula espressiva è ammessa, anche quando non è sostanziata da un profondo sentire e da una intrinseca motivazione. Eppure il rapporto fisico ed umorale con la tela accomuna le ricerche di questi due artisti lontani geograficamente e temporalmente, eppure vicini per sentire, trasportandone le ragioni più intime sul piano di una comunicazione piana e diretta, che opera attraverso il tocco della pittura – ritmo, colori, materia – e va oltre l’impasto per trasmettere la potenza creativa delle forme.
A coloro che osservano la sua opera e gli chiedono “Cosa vuoi dire con questa”? la risposta più frequente di Gianni Pitta è “non lo so”! “Io ignoro e quindi non soffro perché non comprendo, sono vittima, ma se mi emoziona allora funziona, punto e basta”. L’emozione e l’energia vitale sono i cardini fondamentali della sua pratica artistica, assieme alla forza pulsante del colore. Si intitola infatti Glicemia quest’ultima personale, una glicemia che non vuol significare il grado di concentrazione di glucosio nel sangue, ma piuttosto alludere all’alta concentrazione di colore nelle sue opere. I colori primari, vivaci e violenti, sono per l’artista, così come erano per Karel Appel del gruppo CoBrA, il primo passo verso la perdita dell’io, la perdita di se stesso e della sua condizione. Sempre stando alle parole dell’autore olandese: “Per me, energia, forma e comunicazione costituiscono un’unica cosa e le forme assemblate creano un viso. Per esempio, quando guardo una macchina, vedo come una faccia che a sua volta mi guarda fisso. Quando cammino per le strade di una città, vedo forme umane astratte dalle espressioni mutevoli, quasi come se fossero l’ombra di se stesse e della propria esistenza”.
Ancora una volta mi pare ci possa essere un’aderenza quasi perfetta tra gli intenti dei due autori, sebbene a distanza di più di cinquant’anni: le parole pronunciate da Karel Appel sembrano uscire direttamente dalla bocca di Gianni Pitta quando si riferisce ai soggetti dei suoi lavori.
Il viso, il volto, la faccia, umana o animale, sono una costante della sua ricerca, in un miscuglio di figure crude e primitive, dipinte a tinte brillanti. Le sue opere presentano una visione molto personale con la combinazione stranamente inebriante di colori primari vivaci, di uno spesso strato di vernice e di soggetti virulenti, quasi grotteschi. Le superfici dipinte sono composte da pennellate larghe ed uniformi di direzione mutevole che talvolta si aprono per formare dei cerchi, o si restringono per allinearsi formando una specie di puzzle graffiante e incendiario.
Le turbolenze espressive di strani personaggi dai volti contorti e dai denti digrigni, le primitivistiche immagini di facce animalesche e selvaggie richiamano una vena infantile attraverso la quale la natura produce visioni magiche e tradisce i profondi e primigeni istinti dell’artista. Gli esseri fantasiosi dalle grandi teste in Ulisse o Tribale, ne Il guerriero o Il cacciatore, in Meditazione urlata e Un solo pensiero ecc…, sono immersi tra spesse linee di contorno e vivaci cromie in lotta tra di loro come se, ogni qualvolta si delineasse un tema o un soggetto della narrazione, fosse al tempo stesso in corso una forma di scontro o combattimento tra gli elementi primari della pittura. Talvolta le sue forme sono fasciate o racchiuse da un contorno compatto, nero o bianco, benché il colore mantiene una sua libertà e vitalità, una potenza che gli permette di fuoriuscire dal disegno, per produrre un nuovo teatro d’azione e un linguaggio di gestualità. Quel che il gesto esprime è infatti tutto il suo essere presente. Per questo motivo i suoi gesti sono pienamente corporei eppure nello stesso tempo spirituali.
La sua poetica, come quella dei suoi predecessori del Gruppo CoBrA, ha affinità con l’arte dei bambini e con il lavoro fatto da persone con disturbi mentali o con quello realizzato da persone autodidatte. Un altro importante esponente di allora, Costantin, aveva affermato a tal proposito: “Soltanto le persone primitive, i bambini e gli psicopatici potevano contare sulla nostra simpatia”.
In questa regressione al mondo dell’infanzia, che segue i metodi di Dubuffet e anticipa i modi di Baseliz o addirittura di Basquiat, che trae ispirazione dai lavori dei bambini ricchi di sprazzi immediati e senza inibizioni e di forme rudimentali, si ritrova lo stato di interrogazione e di curiosità dell’artista, alla ricerca continua di nuove forme di espressione contro l’ordinario e la routine.
In questa pittura spontanea e aggressiva, che conserva un’impronta figurativa carica di spunti ironici, grotteschi ed infantili, Gianni Pitta esprime la violenza del colore e l’emotività di un gesto edonistico. In questa pittura impulsiva e diretta dove la forma del gesto rimane fresca e incorruttibile per lo spettatore, Gianni Pitta dà sfogo alla sua glicemia di colori voluttuosi e vibranti.
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